La Private label cresce +10% annuo.

Oramai da tempo si dice che la GDO ha posto al centro della propria offerta un pacchetto sempre più vasto e profondo di prodotti a marca commerciale. Si è scritto più volte che in Italia ( recentemente riconfermato anche da una ricerca del laboratorio di trade marketing del Cermes Bocconi) il private label ha conquistato una quota di mercato pari al 14 per cento. Alcune stime più ottimistiche parlano di un 17 per cento (fonte: Plma International), ma quel che è certo è che negli ultimi tempi sta cambiando la percezione degli italiani nei confronti di questi prodotti, grazie a un buon rapporto qualità/ prezzo. Il che, di questi tempi, non è proprio cosa di poco conto. “In coincidenza con la crisi economica – spiega Daniele Fornari, professore di marketing all’Università di Parma e responsabile del laboratorio di trade marketing del Cermes Bocconi – mentre i consumi alimentari continuano a essere negativi, le vendite di marche commerciali risultano positive anche del 10 per cento. Perché il consumatore vede in questi prodotti un’ottima sintesi tra qualità e convenienza”. Secondo il 67,9% delle famiglie italiane intervistate dalla Bocconi, i prodotti delle marche commerciali di alcune categorie sono sempre più simili a quelli delle marche industriali, hanno ormai migliorato la qualità (50,7%), sono diventati più numerosi (60,8%) e soprattutto sono offerti più spesso in promozione (70,5%). Anche per questo, come ha raccontato poco tempo fa il Corriere Economia, il «made in Italy» si sta prendendo la rivincita sui colossi stranieri della grande distribuzione. Ma perché questi prodotti costano meno? “Risparmiamo sul confezionamento, sulla logistica ma non sulla qualità – precisa Gabriele Villa, direttore commerciale di Esselunga -. Tutti i nostri punti vendita non sono più lontani di 150 chilometri dalle piattaforme produttive e distributive”. In questo modo si riducono, e di tanto, le spese legate al trasporto. Non solo. “Il nostro dentifricio ad esempio – aggiunge Villa – non ha la scatola di cartone, gli imballaggi con cui consegniamo i prodotti ai supermercati vengono riciclati e soprattutto non abbiamo costi di marketing”. Basta fare un giro nel centro di produzione Esselunga di Pioltello (oltre 27 mila metri quadrati di superficie) per capire cosa significa. Gli sprechi sono vietati, tant’è che persino i ritagli di pasta fresca non utilizzati per le 2.400 vaschette di lasagne a marchio Esselunga prodotte ogni ora tornano automaticamente nell’impastatrice. La qualità viene garantita da un team di «assaggiatori per professione» che ogni giorno confronta i prodotti Esselunga con quelli dei grandi marchi. Si effettuano inoltre circa ventimila test microbiologici ogni anno. Il suo principale competitor Coop non sta a guardare, basti pensare che nel 2008 la quota di incidenza dei prodotti a marchio commerciale sul totale fatturato Coop è arrivata al 22,2% e nei primi sei mesi del 2009 è cresciuta ancora raggiungendo il 23,6%. Da poco la Coop ha lanciato il primo farmaco a marchio proprio. Anche i prodotti Coop sono sottoposti a prove d’assaggio o di funzionalità attraverso test di comparazione con le corrispondenti marche leader. Ma a testarli sono i soci stessi (oltre 21 mila quelli coinvolti nell’ultimo anno), e la percentuale degli “approvati” supera l’87%. Nessun rischio di conflitto di interessi? “Assolutamente no – spiega Riccardo Bagni, vicepresidente di Coop Italia -, si tratta di assaggi ciechi, i soci non sanno qual è il nostro prodotto, che diventa a marchio Coop solo se viene valutato tanto buono quanto quello della concorrenza”. Carrefour, dal canto suo, spiega che dagli anni 2000 ha iniziato a mettere sugli scaffali anche prodotti a marchio proprio. “Ne abbiamo oltre tremila – conferma Andrea Baggio, responsabile prodotti controllati Carrefour Italia – e se di questi tempi ogni anno cresciamo in doppia cifra, qualcosa vorrà pur dire. Dalle nostre indagini sui consumatori le nostre proposte sono sem-pre molto apprezzate”. I prezzi più bassi, ci tengono a sottolineare anche in Carrefour, “sono giustificati dal fatto che i nostri prodotti sono gravati di minori costi rispetto a quelli che invece la marca nazionale deve obbligatoriamente sostenere. Come il marketing, la distribuzione e la pubblicità”. La certificazione della qualità è arrivata pure da Altroconsumo, l’associazione per la tutela e la difesa dei consumatori, di cui spesso pubblichiamo i resoconti comparativi, che su pasta e latte ha realizzato test di laboratorio per veri-ficarne la convenienza. Alcuni prodotti a marchio commerciale hanno di gran lunga superato certi brand che hanno fatto del nome una garanzia di successo. “Con il private label – spiega il presidente dell’associazione, Paolo Martinello – i consumatori hanno un’offerta più articolata e variegata. Senza considerare che molto spesso il prezzo è più adeguato”. Nessun rischio? “C’è il pericolo che la grande distribuzione acquisisca un potere di mercato troppo forte – precisa Martinello – sia sui prezzi che sulla scelta dei prodotti da mettere sullo scaffale. Perché questo sistema continui a funzionare bene, dev’esserci un buon livello di concorrenza”.