PL a tutta forza. Un 2008 in forte crescita in Italia.

ITALIA: I NUMERI DEL 2008
La crescita della marca commerciale sia in volume sia nel numero delle referenze è molto forte in Italia, maggiore che in altri paesi europei (dove però il grosso della crescita c’è già stato), anche se con alcune significative eccezioni e comunque grosse disomogeneità tra i retailer.

Tra le diverse insegne, infatti, notiamo grosse differenze: se consideriamo, per esempio, i mercati del largo consumo confezionato (Lcc) troviamo oscillazioni tra le 184 referenze e le 2.406 a seconda del retailer analizzato. Se poi includiamo il non alimentare l’oscillazione si amplia ancora di più: da 200 a 5.000 referenze.
Anche in termini di quota di mercato le differenze tra insegne sono molto significative: si passa dal 19,4% all’1,5% con un valore medio (iper +super LCC) del 12,7%, e solo 5 insegne su 11 analizzate dal Rapporto presentano un dato superiore alla media. Questa varietà di quote riflette una sostanziale difformità delle strategie intraprese negli ultimi anni.

In questa crescita generalizzata la parte del leone la fa la fascia Premium (pur rappresentando solo il 2,3% in valore e l’1,1% in volume sul totale PL) che registra performance straordinarie: +56,2% in valore e +47,2% in volume.

Il format che beneficia maggiormente di questa crescita è quello dei grandi ipermercati (=> a 10.000 mq) nei quali la marca del distributore sale di oltre il 33% in valore. Rispetto al dato generale della PL (+13,1%), anche i supermercati di grande superficie (=>2.500 mq) registrano un’ottima crescita del 16,5%.

In una realtà distributiva come quella italiana, caratterizzata da una massiccia presenza della DO, è naturale che oltre il 70% del valore delle vendite della PL passi per i supermercati.

PL IN EUROPA

L’Italia, come già detto, è uno dei paesi Ue nel quale cresce di più la quota delle marche del distributore. Ma il nostro paese è ancora molto lontano dai livelli di altri paesi se si prende in considerazione l’incidenza sul fatturato totale dei prodotti LCC.

In Italia la quota della marca commerciale, come si sa, è molto bassa col 12,2%, seconda solo alla Grecia che si ferma al 5,2%. Sono numeri molto diversi da quelli fatti registrare negli ulimi anni in paesi come la Gran Bretagna e la Spagna che superano il 30%. Ma la differenza è nella performance: l’Italia cresce al ritmo di 3 punti base annui mentre in Inghilterra addirittura c’è stata una leggera contrazione.

Un’altra differenza rispetto al mercato inglese (e a quello francese) risiede nell’importanza del fresco su fatturato e crescita della private label: in Italia rappresenta il 27,4% contro il 42,4% in Francia e il 40,3% in Regno Unito.

IL PROFILO DEI CO-PACKER
il profilo dei “co-packer” è di particolare interesse, e va analizzato verificando la provenienza degli attori: oltre il 66% proviene dal Nord-est, il resto del Paese da un contributo molto più ridotto.

Il Co Packer è generalmente appartenente alla piccola-media impresa infatti circa il 58% ha un fatturato fino a 20 milioni di euro anche se il 10% fattura più di 100, questa è una tendenza che denota la disponibilità da parte di alcune marche industriali di partecipare al business del Trade anche in qualità di co-packer (lampante l’esempio della Pasta Agnesi che fa la pasta Esselunga).

Poco meno del 50% opera nell’alimentare confezionato, mentre un altro 26% nel fresco e del freschissimo. Circa il 10% è attivo nel freddo, il 5,6% nella cura della persona, poi sono stati rilevati altri settori tra cui il pet-food che hanno una quota significativa del 10,5%.

La produzione media è di oltre 300 referenze, mentre le insegne clienti a livello di singolo co-packer sono 7/8. Sotto il profilo del fatturato, ogni referenza genera circa 340.000 euro. E’ pero importante rilevare il grado di concentrazione del fatturato prodotto dalla singola referenza, basti pensare che le prime 5 referenze in portafoglio generano quasi il 47% del fatturato (era vicino al 30% nel 2007), e le prime 10 realizzano poco più del 50% del fatturato complessivo. Quanto mai variegata la numerica dei co-packer per insegna. La media è 135, ma solo 5 insegne su 12 si trovano sopra questa soglia con un minimo di 154 fornitori e un massimo di 335. Le altre 8 insegne sotto la media presentano un campo di variazione compreso tra un massimo di 126 fornitori e un minimo di 20, a denotare la poca maturità della Private Label in Italia se si escludono le insegne Leader. L’ampiezza del campo di variazione è particolarmente visibile nell’analisi per reparto. La massima ampiezza si registra nell’alimentare confezionato dove il numero di fornitori oscilla da un minimo di 8 a un massimo di 162 con una media di 61. Il campo di variazione nell’alimentare confezionato è in aumento. Stabili, invece, gli altri principali reparti, fra i quali spicca il fresco a peso fisso con una forchetta min/max di 1/90 e una media di 29 fornitori. Il campo di oscillazione si restringe nei reparti caratterizzati da maggior concentrazione produttiva: si va da un minimo di 1 a un massimo di 50 nel beverage, che si riduce a 1/5 nel petfood dove la media dei fornitori è 3 rispetto agli 11 del beverage.

Un quadro di grosse novità quindi quello che emerge dall’analisi dei dati del 2008.
Il 2009, caratterizzato dalla crisi economico-finanziaria e dalle profonde modificazioni che stanno subendo i comportamenti di acquisto dei consumatori, sta portando altrettante profonde modificazioni anche nel mercato della PL, che analizziamo negli articoli di questo numero di GDONews.

[fonti: MARKUP, IlSole24ore; IRI]

Autore:
Dott. Alessandro Foroni